Siamo alla peggiore crisi economica dal 1929
La crisi post-Covid si determina nella caduta del PIL mondiale, con i poveri schiacciati e con il peggio che deve ancora venire: approfondiamo il perché (tra inflazione, stagflazione, disoccupazione e aumento dei prezzi). Probabilmente viaggiare diventerà un lusso per chi può permetterselo.
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Innaffiato l’ultimo afflato di libertà dei popoli europei nella libido del calcio, nel più classico dei panem et circenses, si torna a discutere di COVID-19 che avanza, vaccini, vaccinazioni e lasciapassare verdi [l’articolo fu scritto a luglio, ndr]. Ma è meglio per me rimanere nell’ambito della scienza economica, visto che le altre scienze sono già sin troppo affollate di esperti. E, sia ben chiaro, con riferimento all’economica non sono un esperto, ma solo un curioso artigiano.
Nonostante la letteratura scientifica più recente sia piuttosto concorde nel contestare l’efficacia dei lockdown nella prevenzione della diffusione del COVID-19 (al massimo, essi servirebbero a guadagnare tempo per potenziare il sistema sanitario – cosa che ormai dovremmo aver già fatto dopo 18 mesi, no?), osserviamo una volontà politica generalizzata che insiste su quella strategia come se fosse l’unica a disposizione. Le soluzioni alternative (e più efficaci), che puntano su protezione mirata e protocolli medico-farmacologici, non vengono nemmeno prese in considerazione.
È più difficile, invece, trovare disaccordo sul fatto che i cosiddetti lockdown (senza entrare nel merito della loro opportunità o meno) abbiano prodotto la peggiore crisi economica dal 1929, oltre al più grande esperimento di ingegneria sociale (per frenare le libertà individuali e sociali) dai tempi di Hitler, Stalin e Mao. Qui non si tratta semplicemente di sottolineare la caduta del PIL mondiale registrata nel 2020, che potrebbe replicarsi in modo più accentuato nel 2021 in particolare in alcune parti dell’Asia, ma è importante notare come la crisi generata dalle restrizioni è terribilmente regressiva: i poveri stanno pagando un prezzo sproporzionatamente alto e sembra che il mondo stia tornando indietro a un’era in cui cose come viaggiare erano una prerogativa dei ricchi. La Banca Mondiale ha notato che il numero di persone in povertà assoluta è cresciuto nel 2020 per la prima volta in vent’anni, mentre
entro il 2021 il numero di nuovi poveri dovrebbe salire a 150 milioni (link: https://www.worldbank.org/en/news/press-release/2020/10/07/covid-19-to-add-as-many-as-150-million-extreme-poor-by-2021.)!
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Ognuno di noi spera nella fine della pandemia e in una pronta ripresa economica. Purtroppo temo che forse non abbiamo ancora visto il peggio dal punto di vista economico, e che una crisi economica possa colpire il mondo proprio nel momento in cui penseremo di essere al punto di inversione. Tali considerazioni derivano dalle notizie spiacevoli che abbiamo sull’inflazione e sull’emergere della stagflazione come un mix di aumento della disoccupazione e aumento dei prezzi. Il sistema economico segue le sue leggi…
Come accennato, nel tentativo di rallentare la diffusione del virus, la maggior parte delle classi dirigenti mondiali ha imposto restrizioni agli spostamenti che a loro volta hanno peggiorato le condizioni economiche delle nazioni. Per affrontare le ferite create dai lockdown, i governi sono intervenuti nell’economia con politiche fiscali espansive (che non è questa la sede per discutere). Allo stesso tempo, le banche centrali hanno mantenuto una politica di bassi tassi di interesse nella convinzione che una tale politica sarebbe vantaggiosa per l’economia (anche se non credo nei poteri automatici e magici dei bassi tassi di interesse).
Sfortunatamente per noi, le politiche economiche hanno conseguenze, intenzionali e non. Il problema principale generato da queste politiche espansive è che hanno creato una dicotomia tra l’economia reale e la situazione monetaria o finanziaria. Infatti, da una parte abbiamo un’economia reale in difficoltà: i posti di lavoro vengono distrutti, gli investimenti di capitale abbandonati, le imprese chiuse definitivamente; questi fenomeni creano spinte deflazionistiche. Dall’altra parte, invece, stimoli fiscali e tassi bassi hanno creato un eccesso di mezzi finanziari disponibili sul mercato, in contraddizione con la situazione dell’economia reale (o, come è più appropriato, della struttura produttiva); questo sta creando pressioni inflazionistiche. E non credete a chi dice che l’inflazione in corso sia temporanea; vi è in essa una componenta temporanea creata dai colli di bottiglia nella supply-chain globale generati dai lockdown. Ma l’inflazione è sempre un fenomeno monetario e diventa pericolosa quando la quantità di moneta cresce più dell’output: ed è quello che stiamo osservando [Si vedano Ferlito, Sazuki e Lim (2021) e Hearn e Ferlito (2021)].
Tale dicotomia – tra l’economia reale (le cui ambizioni sono stritolate dagli errori passati e dalle incertezze legate da Omicron) e l’economia finanziaria – sta ponendo le premesse per la prossima crisi economica. Infatti, la creazione artificiale di mezzi finanziari ostacolerà il processo deflazionistico di cui abbiamo bisogno in questo momento. Innanzitutto, la disponibilità di risorse finanziarie spingerà gli imprenditori verso investimenti che altrimenti non sarebbero avvenuti. Tuttavia, i consumatori non necessariamente risparmieranno di più per finanziare le nuove decisioni di investimento (il loro potere d’acquisto è ancora compromesso e ulteriormente indebolito dall’inflazione).
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Allo stesso tempo, tuttavia, gli imprenditori considerano l’attuale offerta di capitale e l’attuale tasso di interesse come un’indicazione che all’incirca la stessa situazione continuerà ad esistere per qualche tempo. Come osserviamo ormai da 15-16 mesi, tale situazione ha determinato inizialmente un aumento dei prezzi delle materie prime e dei beni di capitale prodotti con esse. Allo stesso tempo, la domanda di lavoro aumenta, per attirare i lavoratori verso i nuovi investimenti, facendo aumentare i salari relativi: questo a sua volta incoraggia la domanda di beni di consumo e così anche i loro prezzi aumentano.
L’inflazione inizialmente osservata solo per le materie prime si estende ai prezzi al consumo. Questo processo, per essere sostenuto, richiede un’ulteriore espansione del credito che determinerebbe un aumento cumulativo dei prezzi che prima o poi supererebbe ogni limite.
Ad un certo punto il tasso di interesse non potrà che salire, costringendo all’abbandono dei progetti di investimento (distruzione di capitale). Potremmo trovarci nella situazione che, al culmine della ripresa post-Covid (parzialmente alimentata dalle politiche monetarie e fiscali espansive), l’economia scopra di non essere in grado di sostenere una produzione orientata oltre le sue possibilità (perché fondata su supporti artificiali). La domanda di beni di produzione si esaurisce. Molte iniziative economiche fondate sulla liquidità in eccesso non possono essere portate a termine, anche se i debiti devono ancora essere pagati. Molte aziende devono essere espulse dal sistema. Il capitale è scarso e le banche alzano i tassi di interesse. Il periodo di riadattamento che segue è chiamato crisi economica o depressione.
Ciò aggiungerà tensioni alla fragile situazione delle famiglie, il cui debito ha già subito un deterioramento durante i diversi lockdown. Durante la ripresa, inoltre, vengono incoraggiate pratiche innovative di indebitamento ed eccessi speculativi legati anche al credit consumo, come spiegato dalla financial instability hypothesis di Hyman Minsky. L’economia mondiale è quindi sull’orlo di una svolta pericolosa. Se non si prendono sul serio le tendenze inflazionistiche e si incentiva invece ulteriormente la dicotomia tra struttura produttiva e sistema finanziario; per tale ragione potremmo vivere una grave crisi economica proprio quando la ripresa post-Covid sembrerà camminare su un terreno solido.
Mentre i governi mondiali dovranno evitare un brusco rialzo dei tassi di interesse e invece impegnarsi in programmi di graduale taglio della spesa pubblica, dovremo consentire la deflazione per ripristinare il potere d’acquisto e riequilibrare la situazione finanziaria con quella dell’economia reale. Ciò consentirà agli investimenti di essere guidati da decisioni di risparmio coerenti e alla ripresa di spostarsi su un territorio più stabile.
Riferimenti bibliografici
-Ferlito, C., Sazuki, F. e Lim, A.B. (2021), Inflation, Unemployment and COVID-19 Policies: Where Is The Malaysian Economy Heading?, CME Policy Paper No 3, Subang Jaya, MY, Center for Market Education.
-Hearn, J. e Ferlito, C. (2021), The cause of inflation, its link to unemployment and the need for sound monetary control, CME EduPaper No 8, Subang Jaya, MY, Center for Market Education.
Photo by Ignacio Amenábar on Unsplash
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Nato a Verona nel 1978. Residente in Malaysia, dal 2011, ricopre un doppio ruolo di manager ed economista. Nel 2019 fonda il Center for Market Education (www.marketedu.me), di cui è attualmente CEO. Dal 2012 è Senior Fellow dell’Institute for Democracy and Economic Affairs (IDEAS) di Kuala Lumpur (www.ideas.org.my). È inoltre Research Advisor di Provalindo Nusa Property (Jakarta, Indonesia) e Senior Fellow della Property Rights Alliance (Washington, DC). La sua attività di ricerca è principalmente indirizzata a sviluppare il paradigma teorico della scuola austriaca. La sua opinione è regolarmente richiesta dai media malesi e del sudest asiatico, mentre, quale attivo conferenziere, ha svolto guest speeches o lectures in Malaysia, Italia, Singapore, Indonesia e Pakistan. Quale economista, non solo è attivo nel dibattito di politica economica, ma è consulente di politici e istituzioni.
Indirizzo email: carmelo.ferlito@gmail.com
Pubblicazioni: https://carmeloferlito.academia.edu/
Canali YouTube: @carlito78100 e @centerformarketeducation2495