Quando Seydina mi salvò la vita
Dimbalanté è la parola wolof che indica l’obbligo della solidarietà. In Senegal mi ha insegnato cosa vuol dire la responsabilità verso il prossimo un bambino incontrato per caso. Antropologia della solidarietà
Secondo diversi studi scientifici, il darwinismo in primis, un importante fattore evolutivo in seno ad una specie è la solidarietà tra i suoi membri. Più si è empatici e cooperativi e più si hanno possibilità di sopravvivenza.
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L’importanza dell’unione e della comunità è ancor più evidente nei momenti di pericolo e nelle emergenze. Solidarietà… quante volte abbiamo sentito e pronunciato questo termine negli ultimi mesi?
Tutto ciò sembra banale e scontato eppure, scavando un po’ dietro la facciata della parola, ognuno di noi ha la sua personalissima versione del significato di “solidarietà” e lo declina a proprio modo nel quotidiano.
Le diverse sfaccettature che attribuiamo al termine dipendono non soltanto dal carattere individuale, ma da una moltitudine di fattori che si incontrano, tra cui il contesto culturale in cui siamo nati e cresciuti. Ogni società ha in sé dei codici impliciti che regolano i rapporti tra individui e che spesso agiscono funzionalmente alla preservazione della pace e del benessere.
Per essere concreti voglio riportare qui una breve testimonianza di una (dis)avventura che mi è capitata in quel meraviglioso paese che è il Senegal, nel 2017. In una mattina di settembre, da sola in casa, ho iniziato a sentire freddo e dolori dappertutto. Avrei scoperto a breve di essere malata di tifo.
In poche ore mi è salita la febbre alle stelle e alle tre del pomeriggio, con almeno 40 gradi all’ombra, sono uscita disperata per le strade deserte a cercare aiuto. Ho incontrato un ragazzino di circa dodici anni, Seydina, e gli ho chiesto come raggiungere la guardia medica più vicina.
Seydina non solo mi ha accompagnato ma è anche andato in farmacia a comprare le medicine e fatto la fila all’accettazione mentre io non riuscivo a stare nemmeno in piedi. Una volta assicuratosi che ero nelle migliori condizioni è andato via.
Dopo qualche ora un amico si è precipitato in auto a prendermi, ma un’infermiera a fine turno mi aveva già riaccompagnato a casa non dopo avermi offerto una parte del suo pranzo. Qualche giorno dopo ho incontrato per strada il padre di quel ragazzino… mi sono profusa in ringraziamenti e lui mi ha risposto che il figlio aveva semplicemente fatto il suo dovere, la cosa più ovvia.
Nell’Africa subsahariana la convivenza tra gruppi compositi sullo stesso territorio è stata spesso resa possibile da istituti culturali che nel corso dei secoli hanno attraversato in maniera trasversale divisioni etniche e religiose. Dimbalanté è la parola wolof che invoca un valore culturale radicato e imprescindibile: l’obbligo di solidarietà rispetto ai propri simili.
Il Senegal è conosciuto anche come il paese della teranga, parola che deriva dal verbo teral che significa “far sentire l’ospite come a casa propria”. Questo istituto culturale estende anche allo straniero il diritto all’accoglienza. Seydina non si è sentito un eroe, probabilmente neanche si ricorda di avermi aiutato.
Io invece ho riflettuto spesso su quell’episodio anche perché nello stesso periodo a Napoli moriva di appendicite fulminante Ibrahima Manneh, un giovane gambiano, dopo che diverse persone si erano rifiutate di accompagnarlo in ospedale e di prestargli soccorso. In questi stessi giorni, tristemente, viene diffusa da Fratelli d’Italia la falsa notizia di un provvedimento di quarantena per 50 senegalesi a San Nicola La Strada (video: www.facebook.com/rubrics.it/videos/311554853587065). La chiara intenzione di emarginare la stessa comunità che ha donato il sangue durante l’emergenza COVID, notizia che non ha fatto altrettanto clamore nella nostra società (quella sì!) malata (video donazione di sangue: www.facebook.com/rubrics.it/videos/195838098378033).
Ritornando alle riflessioni iniziali allora possiamo dire che ogni cultura dovrebbe avere in sé dei codici funzionali alla preservazione dei rapporti tra pari e alla solidarietà. Ma cosa succede se una cultura si ammala di paura, di miseria, di razzismo? Non credo di conoscere la risposta ma so che ora più che mai è necessario uscire di casa ogni giorno non soltanto portando la ormai ben nota mascherina, ma anche uno sguardo vigile e un cuore aperto per guarire davvero tutti insieme.
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Immagine: Photo by Alex Radelich on Unsplash
Nata il 17 luglio 1986 a Vico Equense, da febbraio 2017 è dottoranda in Scienze storiche, archeologiche e storico-artistiche presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II. Il suo lavoro di ricerca verte sull’islam nell’Africa Subsahariana e in particolare sulla confraternita sufi della Muridyya in Senegal. Attualmente lavora ad una tesi di dottorato sul Gran Magal, pellegrinaggio annuale dei fedeli muridi presso la città santa di Touba. Negli anni universitari l’interessa per la filosofia del linguaggio e la comunicazione interculturale orientano il suo percorso verso l’antropologia: la dottoressa Napoli si laurea in Scienze Filosofiche nel 2012 presso l’ateneo partenopeo con una tesi dal titolo Magia primitiva e follia contemporanea. Dalla metapsichica alla psicopatologia nell’opera di Ernesto de Martino. La sua passione per gli studi antropologici si consolida e vira sull’africanistica tra il 2013 e il 2016. Durante questo periodo la dottoressa vive e lavora in Senegal come mediatore culturale presso l’ONG italiana CPS – Comunità Promozione e Sviluppo (di cui è attualmente membro del Consiglio Direttivo) – e si avvicina in particolare allo studio della storia delle religioni e dell’islam confrerico.
Email: virthinapo@gmail.com