Quando è davvero crimine di mobbing e come comportarsi in Italia? Vediamo i casi
La cultura italiana considera il lavoro una sofferenza, mentre altrove funziona diversamente. Di conseguenza qui il mobbing è troppo taciuto: la prima sentenza italiana è del 1999 e ancora non esiste una normativa specifica. Quali sono i casi in cui è possibile parlare di mobbing? Ricordiamoci che accusare ingiustamente è reato.
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Pochi parlano di mobbing, eppure esiste ancora oggi. I mass media hanno spento i riflettori riguardo al mobbing, almeno qui da noi. Se ne parla solo sporadicamente, eppure migliaia di lavoratori soffrono perché mobbizzati o comunque vessati.
La prima sentenza italiana è stata pronunciata nel novembre del 1999 dal tribunale di Torino. A distanza di più di 20 anni non esiste in Italia una normativa specifica. Alcune regioni hanno cercato di colmare le lacune e i vuoti legislativi.
Ma vediamo che cos’è il mobbing, che ha avuto lo psicologo del lavoro Harald Ege come primo studioso e come primo divulgatore scientifico in Italia. Al di là che ogni azienda deve avere un’utilità sociale come previsto dalla legge italiana, se ogni dipendente deve dimostrare diligenza e responsabilità è altrettanto vero che, molto semplicemente, ha tutto il diritto di stare bene sul luogo di lavoro, senza essere maltrattato.
Il mobbing è un argomento complesso perché interdisciplinare e riguarda la psicologia del lavoro, la medicina del lavoro, la sociologia del lavoro, le scienze umane in generale, la legge. Nel nostro Paese esiste ancora una mentalità datata in cui il lavoro viene considerato luogo di sofferenza per eccellenza. Ci sono quindi pregiudizi e resistenze culturali da abbattere.
In altre nazioni la classe politica tutela di più il benessere psicologico dei lavoratori. Ma non si tratta in Italia solo di politici perché la mentalità è diffusa ed è difficile combattere questa battaglia. In Italia tutti sono bravi a parole, ma mancano i fatti riguardo al mobbing. In questi ultimi venti anni legalmente non sono stati fatti grandi passi avanti.
Sgombriamo il campo da ogni equivoco: bisogna che il soggetto sia veramente malato e non si senta solo malato; la percezione soggettiva non è sufficiente perché ci vogliono anche riscontri oggettivi (prove, testimonianze, esami neurologici, perizie psicologiche). Anche se non si tratta di vero mobbing sindacalisti e psicologi hanno il dovere comunque di ascoltare e intercettare il malessere lavorativo degli italiani, che altrimenti non saprebbero a chi rivolgersi: trovare delle persone competenti con cui sfogarsi fa da effetto cuscinetto, non può che fare bene.
In Italia il mobbing viene definito comunemente terrorismo psicologico sul luogo di lavoro. È un’aggressione prolungata consistente in vessazioni e angherie, che vengono definite azioni mobbizzanti e che comprendono un’ampia gamma di comportamenti. Perché ci sia veramente mobbing la durata deve essere almeno di sei mesi con la frequenza di almeno un’azione mobbizzante a settimana.
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Gli attori sono di solito il mobber (il persecutore), il mobbizzato (la vittima), i side-mobber (i complici), gli spettatori neutrali (i bystanders). In caso di presenza di un whistleblower (colui che segnala l’illecito) i comportamenti vessatori talvolta finiscono.
Il mobbing può essere verticale (quando è il superiore il persecutore), orizzontale (quando sono i colleghi) oppure ascendente (quando ad esempio un gruppo di operai si coalizza contro un capo officina). Esiste inoltre il doppio mobbing che si verifica quando un mobbizzato viene isolato anche dalla sua famiglia.
Sono quattro di solito le cause del mobbing: il mobber, la vittima (può provocare e iniziare il conflitto. È molto raro ma è possibile), le dinamiche di gruppo, l’organizzazione del lavoro (ad esempio una leadership troppo autoritaria, un conflitto di ruolo, una competizione esasperata possono determinare il mobbing).
La legge italiana prevede questi tipi di danni: quello patrimoniale, quelli non patrimoniali (ovvero il danno biologico, quello morale, quello esistenziale); il danno psichico è una sottospecie del danno biologico.
È vero che una sentenza della Corte di Cassazione del 17/8/2018 ha riconosciuto il mobbing come malattia professionale, ma è altrettanto vero che chi accusa ingiustamente una persona di mobbing potrebbe essere costretto a risarcirle le spese legali e danni vari. Il mobbing causa costi aziendali, sanitari, previdenziali. Come costi aziendali basta pensare all’assenteismo, all’aumento di turn over, al calo di produttività dell’azienda. In assenza di una legislazione specifica i sindacati talvolta aprono sportelli antimobbing e alcune aziende mettono un responsabile antimobbing.
Non c’è ancora una adeguata sensibilità rispetto a questo fenomeno e molto probabilmente esiste molto mobbing sommerso da noi. Da una parte tutti hanno diritto a stare bene sul luogo di lavoro. È un diritto irrinunciabile e sacrosanto dei lavoratori. Dall’altra parte è difficile trovare un lavoro che autorealizzi ed è anche vero che se tutto è mobbing niente è mobbing.
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Nato a Pontedera nel 1972. Si è laureato in psicologia con una tesi sul mobbing. Nel 2000 ha partecipato al comitato antimobbing della CGIL toscana. È socio onorario a vita della A.S.A.M University dal 2004 per la sua competenza sul mobbing. Collabora ad Agoravox (quotidiano online), a Sololibri.net, ad Alessandria Today, a Alessandria online, a Word Shelter, al Mago di Oz e saltuariamente anche ad altri siti. Ha un blog sul sito letterario Letteratour e uno su WordPress. È articolista su Il post scriptum (testata giornalistica online). Ha collaborato al Corriere di Puglia e Lucania e a Il Corriere Nazionale (testate giornalistiche online). Ha collaborato al magazine ‘900 letterario. Ha scritto recensioni per Atelier poesia. In passato ha scritto poesie pubblicate su riviste letterarie, literary blog, antologie non scolastiche. Scrive saggi brevi, articoli, recensioni, aforismi, riflessioni. Si occupa di psicologia, di attualità, di poesia contemporanea, di umanesimo contemporaneo, di scrittura.
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