Parla Massimo Fenati, la cucina come arte illustrativa


Celebrato dalla grande stampa nazionale, l’originale autore si afferma novità, in un incrocio artistico-culinario partorito nella gavetta tra i giganti del settore [in coda, ricetta: Pinza Triestina]

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Curioso, cortese e umile come pochi, il genovese Massimo Fenati è il classico expat che ce l’ha fatta! Dopo la gavetta negli studi di Jasper Morrison, Pentagram, David Chipperfield Architects e Studio Reed, si dedica alla comunicazione visiva lavorando con ditte e marchi inglesi ma in contemporanea coltiva la sua passione per l’illustrazione e nel 2006 pubblica “Il libro dell’amore di Gus&Waldo”.

I due teneri pinguini omosessuali gli portano fortuna e non solo diventano protagonisti di altre 3 pubblicazioni, ma spingono Fenati a dedicarsi a tempo pieno alla carriera di fumettista avviando fruttuose collaborazioni con Il Fatto Quotidiano, Il Corriere della Sera e dando alle stampe l’irriverente guida “L’insospettabile utilità di un suricato morto” e la graphic novel “La Mennulara” dal best-seller di Simonetta Agnello Hornby. A Rubrics racconta della valigia culinaria che ha portato con sé in Inghilterra e di come il cibo sia diventato un ironico compagno di viaggio nel suo percorso artistico.

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Laurea in architettura, un passato da designer, un presente da illustratore e una passione incontenibile per dolci e lievitati. Ci racconti la genesi del progetto Foodle creato ad hoc per la tua pagina Instagram?

Confesso di essere sempre stato diffidente nei confronti dei social media, il mio account Twitter giace intatto da anni e la mia pagina Facebook viene aggiornata due volte all’anno. Tutti mi dicevano “sei un illustratore, devi essere su Instagram”, per cui alla fine ho ceduto. Ma non volevo fare una pagina qualsiasi, credo che l’universo dei social sia così enorme che bisogna avere un angolo molto chiaro, una nicchia specifica, per essere notati. E visto che amo molto la cucina e il baking in particolare, ho sempre fatto molte illustrazioni sul tema del cibo e collaborazioni con brand del mondo gastronomico. Nell’unire le mie due passioni di cucina e illustrazione ho ripensato ai disegni che la mia maestra dell’asilo ci faceva fare ritagliando forme di pasta dalle confezioni di farfalle o maccheroni e ho pensato di farne una versione digitale… et voilà: i miei foodle (unione delle parole inglesi food – cibo e doodle – scarabocchio) hanno visto la luce.

Ogni Foodle possiede una duplice storia creativa: il dietro le quinte dove metti le mani in pasta (sfruttando quanto appreso nei corsi al Cordon Bleu) e la mise-en-place in cui fotografi il cibo e lo esalti ricamando esilaranti scene d’inchiostro. L’ispirazione umoristica arriva a ricette sfornate o le pietanze sono funzionali alla concretizzazione di metafore maturate in precedenza?

Metà e metà. Quando ho iniziato il progetto Foodle, per le prime immagini l’ispirazione veniva appena trasferivo il dolce dalla teglia di cottura al piatto di presentazione (“Oh, guarda, questa ciambella sembra la gonna di una ballerina di flamenco…”), una deformazione professionale dovuta al costante nutrire la mia immaginazione! In seguito sono nate idee più ambiziose che richiedevano preparazioni specifiche per i concept che avevo in testa. Ma ultimamente la cosa che mi capita più spesso è quella di pormi delle sfide: faccio ricerca dei cibi più popolari e poi vedo in quante fogge riesco a fotografarli e ri-immaginarli, come ho fatto con la pizza o gli spaghetti.

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Hai un Foodle cui sei particolarmente affezionato e perché? Quale ritrae il tuo dolce preferito?

Ammetto che mi piace dare un mood un po’ cattivello ai miei foodle, non tanto nelle immagini quanto nei testi, perché accompagno sempre ogni disegno a una breve filastrocca rimata (in inglese), in cui con poche parole delineo la storia del personaggio ritratto nel disegno e spesso gli predico sventure più o meno grandi in arrivo. I miei foodle preferiti sono quelli in cui la filastrocca scorre bene, la “trasformazione” della pietanza è più inaspettata e divertente, o il disegno e la storia si integrano meglio. Se invece mi dovessi mettere ad elencare quali ritraggono i miei dolci preferiti, bhè ne avrei per delle ore!

Recentemente i Foodle si son trasformati in merchandise (cover, cuscini, t-shirt…), packaging (penso al sushi-box per la catena di ristoranti Hagakure) o grafica pubblicitaria (come nel caso dell’immagine coordinata del festival ligure Dolcissimapietra2020). Desideri un futuro nel food-marketing per le tue creazioni oppure ambisci a un progetto editoriale?

Fin dagli inizi, i miei followers su Instagram mi bombardano con la domanda: “quando uscirà il libro?”. Credo quindi che un bel ricettario sia il risultato naturale di questo progetto, se in maniera così spontanea ci hanno pensato in tanti. Sarebbe un modo diverso di proporre ricette e mi piacerebbe tantissimo poter scrivere la storia che c’è dietro a tante delle mie pietanze preferite, tutte frutto del mio albero genealogico che ha radice in Istria e nelle regioni austro-ungariche (dolci lievitati come la potica o la pinca, le palacinke e tanti altri) e passioni legate alla mia infanzia genovese (focacce, verdure ripiene, torte di verdure, pesce…). Detto questo, fare collaborazioni con vari brand su operazioni di marketing ad hoc mi diverte moltissimo. L’integrazione tra disegno e cibo può andare oltre il connubio in campo pubblicitario: ho anche “progettato” la forma di biscotti e la decorazione di torte natalizie per Gail’s ed avrei il sogno di arrivare un giorno a disegnare una nuova forma di pasta!

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Da anni firmi The Occasional Baker (per la catena di bakery Gail’s) e La Cucina a Fumetti (per il Corriere della Sera) nelle cui strisce l’humor cede il passo alla divulgazione: penso ad esempio, alla storia illustrata della pasta madre o al gastro-day londinese ove, raccontando il tuo pasto ideale, accompagni il lettore in 8 ristoranti per assaporare altrettante portate del cuore. Che ruolo giocano l’esperienza diretta che hai dei fornelli e la tua cultura culinaria italo-inglese?

Un ruolo fondamentale! Senza quel tipo di esperienza e di passione non riuscirei mai a parlare di cibo con le mie illustrazioni. In passato ho realizzato grafica e illustrazione che parlava di medicina e anatomia, di statistica e di finanza, ma sono sempre stati progetti commissionati da clienti esterni dove avevo un brief specifico e dove la ricerca sul soggetto era parte del processo. Nel caso della Cucina a Fumetti le idee nascono invece dalle mie esperienze gastronomiche o dalla mia curiosità che mi spinge a fare ricerca di certe tematiche (che sia la dieta della regina, la natura del glutine o le origini storiche del babà al rum). Sono affascinato da tutto quello che riguarda l’universo food e con le mie strisce per il Corriere della Sera voglio parlare di tutto tranne che di ricette (quelle le lascio ai cuochi professionisti). Similmente, quando realizzo altri lavori a tema culinario (siano i fumetti per Gail’s o collaborazioni con Kellogg’s o Motta) c’è già una conoscenza di base del soggetto, cosa che rende il lavoro più facile e sicuramente più divertente.

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RICETTA: Pinza Triestina

In omaggio all’intervistato: la pinza triestina, un aromatico pan dolce pasquale diffuso in Friuli e Slovenia.

  • 250   gr farina Manitoba W 350
  • 250   gr farina 00 W 260
  • 150   gr zucchero semolato
  • 80     gr burro
  • 25     gr lievito di birra
  • 25     gr semi d’anice
  • 6       gr sale fino
  • 100   ml acqua tiepida
  • 100   ml latte fresco intero
  • 25     ml rhum
  • 4       tuorli freschi
  • 2       uova intere fresche
  • 1       bacca di vaniglia
  • 1       limone (scorza grattugiata)
  • 1       arancia (scorza grattugiata)

In una casseruola versare latte e semi di anice pestati, cuocere 15 min e filtrare. In una ciotola stemperare il lievito sbriciolato con 20 gr di zucchero e l’acqua, quindi aggiungere 100 gr di farina manitoba setacciata e lasciar riposare ricoperto da pellicola per 2h circa. In una terrina capiente o in planetaria con gancio, impastare il lievitino con lo zucchero e farina manitoba restanti, appena inizia ad incordare aggiungere il sale, 40 gr di burro e continuare ad impastare finchè l’impasto non risulta liscio. Riporre il composto in un recipiente, coprire con pellicola e far lievitare 2h. Trasferire nuovamente la pasta lievitata in planetaria, aggiungere il burro restante, 1 uovo, tuorli, aromi, farina setacciata, latte, liquore e impastare fino a incordatura. Trasferire il panetto su una spianatoia, dividerlo in 2 pezzi, modellarli sino ad ottenere 2 sferette, disporle in teglia ricoperta di carta forno e far lievitare 2h o fino a raddoppio del volume. Con le forbici praticare un taglio a croce o a Y nel centro dei due panetti, spennellare con l’uovo rimasto, spolverare di zucchero semolato e cuocere in forno statico a 180° per 35 min. 

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