L’Amore, il più “romano” dei Tarocchi
Cupido era un Dio crudele che giocava con gli uomini senza rendersi conto del male che causava. Sotto di lui, si svolgeva la dextrarum iunctio. Nel mediovevo l’amore era uno dei pochi “vantaggi” dei poveri
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Nei tarocchi miniati quattrocenteschi una coppia di innamorati (ma lo erano davvero?) vengono raffigurati durante la cerimonia della dextrarum iunctio, unione della mano destra quale rito di indissolubile legame fra i due, rituale ripreso dall’antichità romana.
Sopra di loro volteggia un Cupido nudo e bendato, intento a lanciare sui due personaggi dardi fiammeggianti. L’immagine di Cupido, dio dell’amore, figlio di Venere e di Marte o secondo altri di Mercurio (e qui ci sarebbe già da discutere), ebbe una grandissima diffusione iconografica nell’arte ellenistica e il rinascimento la ereditò in egual misura.
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I testi di iconologia del tempo interpretano la sua fanciullezza in rapporto all’eterna giovinezza del vero amore, oltre all’incoscienza che è tipica dei fanciulli. Infatti, il Dio, giocando con gli uomini, li caccia, li ferisce e li infiamma senza rendersi conto del male che può causare.
La sua nudità esprime la privazione di ogni bene che gli uomini poco accorti raccolgono dall’amore: abiti, possedimenti, buon senso, saggezza, mentre la cecità rivela il suo disinteresse verso chi colpisce: il ricco e il povero, il bello e il brutto, il giovane e il vecchio, tutti sono a lui sottoposti e la sua freccia colpisce ogni uomo indistintamente. Inoltre, nessuno si dimostra più cieco di colui che è influenzato dall’amore.
Con questa sua incoscienza, Cupido arreca un male incontrollabile dall’uomo. Non a caso nella Commedia Nuova di Piero Francesco da Faenza del 1545, Cupido venne minacciato di essere appeso per un piede come traditore dell’umanità da un villano, il quale, dopo averlo rapito, intese insegnare al giovinotto come si doveva vivere nel mondo.
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Il motivo risiedeva in un torto subito dalla donna del villano, allorché Venere, madre di Cupido, mentre elargiva doni dal proprio carro trionfale, volente o nolente si dimenticò completamente di lei. Atto considerato come un vero e proprio tradimento da parte del villano che, fatto prigioniero il Dio d’Amore, lo legò strettamente minacciandolo di appenderlo a testa in giù.
I lamenti di Cupido, certo che il suo sequestratore gli avrebbe tolta la vita, giunsero fino all’Olimpo dove tutti gli Dei, Giove compreso, si mossero per convincere il villano, prima con le buone poi con le cattive, a liberare l’ostaggio. Le azioni messe in moto dagli Dei si manifestarono come acqua fresca, come si suol dire, poiché il villano era sicuro di non potere essere in qualche modo offeso, complice il non avere altro signore “che il Papa e la ragione”.
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Al contrario ogni insistenza da parte degli Dei lo faceva incarognire sempre più. Anche di fronte al dolore di Venere, madre di Cupido, il villano mantenne le proprie posizioni, finché non si accordò di liberare il rapito per un notevole tesoro in oro. Cosa che avvenne con felicità da parte di entrambi.
Una colpa, quella di Venere, che si riversò sul figlio, secondo il detto biblico che la colpa dei genitori ricade sui figli (Es 20,5, Lv 26,39 e Is 14,21), anche se le auctoritas cristiane paiono discordare fra loro su questo punto.
Ritornando alla raffigurazione dell’Amore, sempre nelle carte antiche, appare a volte un cagnolino bianco, simbolo di pudicizia e fedeltà. Ma quale amore e quale fedeltà?! Si tratta infatti di una immagine di un vagheggiato mondo ideale, laddove la realtà era ben diversa.
Ci si sposava per mettere insieme la ‘roba’, per accrescere il potere riunendo quello di due casate. Che fatica a volte dover giacere con una moglie inguardabile anche se era atto necessario affinché si partorisse un erede che perpetuasse il nome della famiglia. E poi ci si metteva anche la Chiesa, con quella continua predica sulla fedeltà “finché morte non vi separi!”.
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Il Petrarca, che nella sua opera letteraria Trionfi espresse le potenze che in forma gerarchica governavano l’universo, assegnò all’Amore la posizione inferiore in quanto espressione dell’istinto umano che veniva vinto dalla ragione. Non a caso il villano della Commedia era sicurò di sé, in quanto poteva contare sulla complicità di quest’ultima.
La passione amorosa, guidata dal puro istinto, necessita del ricorso alla Temperanza, quella virtù che precede la carta dell’Amore nel Sermones de Ludo della fine del sec. XV, per suggerire, consigliare e far riflettere ogni buon cristiano sui pericoli della lascivia.
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Una lascivia che raramente era contemplata nel matrimonio, in quanto riservata a situazioni extra moenia (fuori dalle mura di casa), rifugio sicuro dei nobili per soddisfare le voglie che la moglie non era in grado di appagare per incompetenza o per non suscitare il suo corpo tanta frenesia.
L’amore vero era invece appannaggio dei poveri, i quali si sposavano tendenzialmente per amore. Una delle poche prerogative a loro spettanti che a mala pena bilanciava quelle dei potenti, tutti, chi più, chi meno, di nobile schiatta.
Immagine: L’Amore, dai Tarocchi Visconti Colleoni-Baglioni, carta miniata, sec. XV.
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Faenza, 1952. Storico, musicologo, archivista, docente e Presidente dell’Associazione “Le Tarot”, composta da eminenti personalità del mondo accademico e della cultura. La comunità scientifica internazionale lo riconosce tra le massime autorità al mondo per quanto attiene l’iconologia dei tarocchi storici. Sul tema dello studio storico, simbolico e “dottrinale” dei tarocchi storici ha ottenuto il Patrocinio del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, collaborando con i grandi musei e le grandi biblioteche, tra cui: il Metropolitan Museum of Fine Arts di New York; la National Gallery di Washington; il Victoria and Albert Museum e il Warburg Institute di Londra; la Graphische Sammlung Albertina di Vienna; la Bibliothèque Nationale di Parigi; la Galleria degli Uffizi di Firenze; la Bayerische Staatsbibliothek di Monaco; il Museo Egizio di Torino; il Museo delle Ceramiche di Faenza; il Museo Civico Archeologico di Bologna; la Biblioteca Marciana di Venezia; la Biblioteca Comunale di Mantova ecc. Si laurea in Studi Umanistici all’Università di Bologna e successivamente consegue il Diploma di Perfezionamento Post-Universitario in Musicologia. Ha frequentato la Scuola di Archivistica, Paleografia e Diplomatica all’Archivio di Stato di Bologna. Già docente e direttore della Biblioteca Comunale di Brisighella. È autore di numerosi saggi e articoli tradotti in diverse lingue e diffusi in tutto il mondo.
-Sito “Le Tarot”: http://www.letarot.it/
Email: info@letarot.it