La riscrittura della storia del cinema, Hollis Frampton


Dal primo lungometraggio sperimentale accettato al New York Film festival, agli esperimenti della meta-storia sul calco dei Lumieres.

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Lavorando sul linguaggio, Frampton desiderava riscrivere la storia del cinema, tant’è che la sua opera sembra orientata a inventare una tradizione attraverso un coprpus di opere che fossero un insieme gestibile e coerente di monumenti discreti tali da conferire un’unità risonante all’arte cinematografica.

Nel 1965, ha prodotto un ritratto fotografico di Larry Poons per la rivista Vogue. Lavora a lungo con l’artista concettuale Lee Lozano, e l’anno successivo realizza diversi ritratti cinematografici e il film “Manual of Arms”. Fu mentre che la sua visione fotografica si spostava verso l’esplorazione di una serie di idee, fortemente influenzato dall’amicizia con Ezra Pound, che iniziò a realizzare film.

Sempre più interessato al cinema, si comprò una Bolex per il suo trentesimo compleanno nel 1966, e nel 1967, ha reso omaggio al lavoro di John Cage con la produzione di “Heterodyne”, girando poi nel 1968 “Snowblind” con Michael Snow e lavorando negli anni successivi con Mark Rothko, Tony Smith, Leo Steinberg e Robert Morris.

Dirige poi nel 1969 “Lemon” che mostra un singolo limone in una posizione fissa, con un’illuminazione che cambia nel corso del film. All’inizio del film, la superficie gialla appare su uno sfondo nero, con un’estremità sporgente a destra. Man mano che la luce diventa più intensa, diventa visibile più limone. Il lato sinistro del limone viene coperto dall’ombra finché non si vede solo il contorno del lato destro del limone. Dopo che l’immagine diventa brevemente nera, viene visualizzata una retroilluminazione. Il limone diventa una sagoma scura su uno sfondo bluastro.

I suoi primi lavori sono quindi abbastanza semplici nella costruzione, e alcuni di loro, tra cui “Maxwell’s Demon”, “Surface Tension” e “Prince Rupert’s Drops” traevano ispirazione da concetti scienntifici, ma gradualmente i suoi film cambiarono registro assecondando uno stile incentrato sulla natura del film stesso, che lo fece definire uno strutturalista. Ricordiamo, per esempio, “Autumnal Equinox” (1974), girato all’interno di un impianto di confezionamento della carne e girato utilizzando una pellicola da 30 mm che conteneva gelatina bovina.

Pur adottando un taglio strutturalista, l’influenza scientifica continuerà a essere presente, come testimonia “Zorns Lemma” (1970), il cui titolo è ispirato al lemma di Zorn, una proposizione della teoria degli insiemi, formulata dal matematico Max Zorn nel 1935, che descrive insiemi parzialmente ordinati in cui ogni sottoinsieme totalmente ordinato ha un limite superiore.

“Zorns Lemma”, primo lungometraggio sperimentale ad essere accettato al New York Film Festival, cambierà definitivamente la percezione del cinema sperimentale. Ben accolto dalla critica ed estremamente originale, il film sembra un’autobiografia criptica strutturata dalla matrice dell’alfabeto latino.

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“Zorns Lemma” consta di tre diverse sezioni. La prima è una lettura (di Joyce Wieland) del Bay State Primer, un’opera per far imparare l’alfabeto ai bambini. La seconda sezione è basata su un’opera testuale di Carl Andre, iniziata con un elenco alfabetico di parole per ogni lettera dell’alfabeto. Ogni elenco successivo viene sostituito con una lettera fino a quando non sono solo lettere, ma in “Zorns Lemma” il concetto viene ribaltato: inizia con un alfabeto di ventiquattro lettere (I/J e U/V sono considerate una lettera), in cui ciascuna lettera viene mostrata per un secondo di tempo sullo schermo e poi in loop. Il secondo ciclo sostituisce ogni lettera con una parola che inizia con ogni lettera. A poco a poco le parole fisse vengono sostituite da una ripresa cinematografica attiva, come lavarsi le mani o sbucciare un mandarino finché non rimangono solo immagini in movimento. La terza sezione contiene un’inquadratura apparentemente singola di una coppia che cammina su un prato innevato. Il suono è di sei donne che leggono una parola alla volta da “Theory of Light”.

“Zorns Lemma” mostra una continuità con “Word Pictures”, un progetto fotografico che Frampton realizzò dal 1962 al 1963, progetto per il quale aveva scattato oltre duemila fotografie in bianco e nero da 35 mm di parole ambientali, cercando di esplorare le illusioni della fotografia come mezzo. Riprendendo il suo vecchio progetto fotografico, ha quindi iniziato a girare un film girando le fotografie su un supporto, filmando le parole a colori per conferire un senso di vitalità. Ha poi deciso di utilizzare l’ordine alfabetico ed evitare qualsiasi connessione consapevole tra le parole per impedire che il proprio ordine lo rendesse troppo simile a una poesia. Ma poiché il numero di volte in cui aveva catturato ogni lettera variava notevolmente, decise di utilizzare il “doppio alfabeto” e scorrere continuamente le lettere, e di inserire delle immagini per non lasciare buchi nelle transizioni.

Se in “Zorns Lemma” ritroviamo un commento sulle fasi della vita, dove la moralità del “Bay State Primer” è l’infanzia, poi le serie di numeri rappresentano la maturazione e l’interazione con il mondo e la terza parte la vecchiaia e la morte, successivamente la preoccupazione principale di Frampton divenne il rapporto tra linguaggio e immagine: prima che Frampton realizzasse i film “Hapax Legomena”, la relazione tra suono e cinema era un’area ancora fortemente inesplorata nel cinema d’avanguardia americano.

“Nostalgia”, “Critical Mass” e “Travelling Matte” furono i primi tre film a essere completati. Frampton iniziò a vederli come un unico sforzo continuo tanto che, verso la fine del 1971, disse di avere definito la visione dei film successivi, che però l’opera era concepita per essere altresì visto separatamente per le sue qualità.

Diverse opere in “Hapax Legomena” trattano di altre arti visive: “Nostalgia” e “Poetic Justice” includono storie sulla fotografia, mentre “Travelling Matte” mostra il trasferimento del video al film e “Remote Control” delle immagini televisive al film. In particolare, nel film “Poetic Justice” (1972), filma i fogli di una sceneggiatura, che si susseguono su un tavolo, accanto a una pianta e a una tazzina di caffè. Minimalista all’estremo, questo dispositivo è estremamente complesso perché richiede agli spettatori, mentre leggono gli intertitoli, di costruire mentalmente il film descritto nella sceneggiatura, inquadratura per inquadratura.

Più genericamente il titolo del ciclo fa riferimento al concetto di hapax legomenon, ovvero delle parole il cui significato può essere difficile da determinare perché il loro contesto è fortemente specifico e limitato. Frampton aveva già fatto riferimento al fenomeno attraverso il suo precedente cortometraggio “Lemon”, il cui titolo è un hapax legomenon nel romanzo “Ulisse” di James Joyce.

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E dopo avere usato l’alfabeto come griglia organizzativa, si dedica a “Magellan” (1972), progetto mai portato a termine, progettato come un ciclo calendarico, un film per ogni giorno dell’anno e film extra per i giorni festivi. Liberamente ispirato al diario di Antonio Pigaffeta che accompagnò Ferdinando Magellano nel suo viaggio per mare intorno al mondo tra il 1519 e il 1522, questo monumentale progetto non solo rivela nuovamente omaggi all’opera di Joyce, in particolare all’ “Ulisse” e “Finnegans Wake”, ma dichiara il suo intento di estendere l’orizzonte del linguaggio cinematografico in modo tale che il piacere e la rivelazione del pensiero filmico potessero essere flessibile, in termini di accessibilità, quanto l’esperienza della letteratura.

E quindi in questo progetto ritroviamo una serie di riferimenti al cinema delle origini, ma anche al cinema sperimentale e al suo stesso lavoro. Procedendo per collage, passando di allusione in allusione e moltiplicando i riferimenti extrafilmici, Magellano è soprattutto un film infinito, enciclopedico. Un film del ciclo, “Magellan: Drafts and Fragments”, è esemplare dell’ambizione di Frampton di creare una personale “meta-storia” del film, ricreando il cinema dei fratelli Lumieres in cinquantuno film da un minuto.

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