La persona nel film, Gunvor Nelson
Le diverse arti immerse nel cinema che guarda al femminile, le melodie visive e l’avanguardia americana e l’impegno “non politico” con la critica “per” la donna.
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Nei suoi “film personali” Gunvor Nelson affronta argomenti che oscillano dall’l’infanzia e la memoria della vita passata al legame con la patria che si scontra con la necessità di migrare, per affrontare ancora l’invecchiamento, la morte e il simbolismo delle forze naturali, spesso attraverso un elegante montaggio di immagini oniriche, combinate con una raffinata attenzione agli effetti del linguaggio e del suono sull’immagine in movimento.
Le sue rappresentazioni delle esperienze delle donne e della ricerca dell’identità sono un’ esplorazione del sensuale e dell’ erotico, in cui si avverte la contaminazione dell New American Cinema, soprattutto di Stan Brakhage e di Bruce Baillie, volto a criticare la rappresentazione delle donne da parte della società, senza però mai apparire apertamente politiche nella loro agenda. Le sue opere “femministe” rivelano una risonanza più universale nell’affrontare il personale e attraverso una rappresentazione originale, istintiva e naturale del genere femminile.
Il suo fascino per il cinema deriva probabilmente dal suo precedente background artistico come pittore. Le trasformazioni visive che ottiene nell’atto di filmare le modifica tipicamente attraverso la pittura e l’animazione, e poi le organizza attraverso un minuzioso montaggio di immagini e suoni.
A metà degli anni ’60, utilizzava quindi il film come mezzo artistico, catturando immagini e suoni quotidiani con la sua macchina fotografica e combinandoli in un modo che riformulava realtà e sogni per rivelare improvvisamente il luogo comune da nuove prospettive. I suoi film possono essere paragonati a melodie visive meticolosamente composte che possiamo vedere più e più volte e scoprire sempre qualcosa di nuovo. Il lavoro di Nelson rivela quindi il suo fascino per la traduzione visiva e la trasformazione del mondo.
Attiva già negli Anni Sessanta dapprima in Svezia, sebbene fin dal suo debutto Nelson avesse avuto un’enorme influenza sul cinema d’avanguardia americano, il successo arriverà solo nel 1972 quando nella Bay Area statunitense verrà mostrato il cortometraggio in stop motion “Take Off”.
Nel 1965, quando girò il suo primo film, insieme a Dorothy Wiley, conosceva ben poco della cultura cinematografica d’avanguardia. Liberi di sperimentare, “Schmeerguntz” è un film pieno di assurdità quanto la vita stessa lo è, soprattutto nessuno aveva mai sfidato in questo modo il ruolo femminile americano: gli artisti lanciano un attacco frontale agli ideali femminili prevalenti, all’idealizzazione della maternità e all’idea della casa come sfera femminile.
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Nelson ha avuto l’idea mentre guardava il lavandino di casa sua e pensava al contrasto tra il modo in cui trascorreva effettivamente il suo tempo e il modo in cui le immagini nei media suggerivano alle persone di trascorrere il proprio tempo. Schmeerguntz mostra dunque la co-regista Dorothy Wiley mentre che vomita per la nausea mattutina, che lotta per entrare in una giarrettiera o ancora che pulisce le feci dal sedere del suo bambino.
“My Name is Oona” (1969), uno dei primi film che Gunvor Nelson ha prodotto da sola, è un ritratto poetico di Oona, la giovane figlia di Nelson: la ragazza ci guarda con aria interrogativa, giocando, a cavallo, con un mantello come una principessa delle fiabe, mentre nella colonna sonora, ispirata al compositore Steve Reich, la voce di un bambino dice ripetutamente “my name is Oona” secondo una struttura ritmica espressiva che accompagna la struttura visiva del film mentre che si immerge nell’esperienza dell’essere bambino.
“Take Off” mostra una spogliarellista di mezza età vestita in modo glamour, che fissa provocatoriamente lo spettatore mentre si toglie i vestiti uno alla volta. Questa acuta parodia del modello femminile e della sessualizzazione dei corpi delle donne è stato il film più popolare di Gunvor Nelson dai tempi di “Schmeerguntz”.
Vivendo nella San Francisco Bay Area, immersa dalla cultura, Nelson si sente nuovamente influenzata dalla pittura, dalla musica e dal cinema, e ciò si avverte nei suoi film. In “Red Shift” (1984) si percepisce come una sincera felicità domestica, sebbene il suono e l’immagine mutino da chiaro e bello a oscuro, e da spaventoso e pericoloso a assurdità e tenerezza. E nello stesso anno realizza il suo primo film collage “Frame Line” che, con una narrazione puramente libera, racconta il suo rientro a Stoccolma e il suo dialogo con I luoghi: dopo le prime inquadrature che si intersecano mostra qualcuno che impasta la pasta e una telecamera chesi sta trasferendo sul lungomare di Stoccolma, segue una sequenza animata che mostra come Nelson sta dipingendo su alcune delle immagini. Presto, appaiono una serie di linee animate, sovrapposte al filmato delle mani che stanno impastando la pasta e le riprese del lungomare. Questi momenti di apertura portano un alto colonna sonora ambivalente e disarmonica che consiste di vari suoni e temi musicali, Già con questo inizio, Nelson si muove dal regime del segno a quello del segnale, modulando, interferendo e giocando con il mezzo del cinema, creando un evento cinematografico che non è trasferibile in un modello di segni e referenti corrispondenti.
Con “Natural Features” (1990) Nelson ha concluso la sua serie di cinque film collage. Il film è costituito da immagini e suoni-eventi o avvenimenti, in cui oggetti e immagini si scontrano
creando un viaggio senza fine nell’immagine e nel suono. E non si percepisce tensione tra il passato passato dell’immagine della telecamera e la presenza presente delle trasformazioni animate come nel precedente film collage. In Natural Features, letteralmente tutto è in movimento e in continua evoluzione, però non in accordo con un programma prestabilito, ma in conformità con i principi di animazione in cui noi come spettatori guardiamo la trasformazione e intrecci di linee e figure.
Poi, nel suo video “True to Life” (2006) così come nel film “Light Years” (1987) viaggia attraverso il paesaggio svedese, e la distanza interrotta da un’animazione ravvicinata frutta in decomposizione e altri piccoli oggetti, come se la coreografia degli eventi venisse dopo la giustapposizione delle inquadrature e dopo ciò che accade tra di esse e con esse.
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Saggista e produttore cinematografico, già docente. E’ attivo nel mondo delle startup quale advisor per Column, e membro del CDA per Freedom Waves, SurgiQ e Smart Sommelier. Ha cofondato la Undo Studios, per la quale ha gestito come direttore amministrativo il metaverso The Nemesis. In ambito cinematografico ha co-prodotto i film “Revengeance” e “La mafia non è più quella di una volta” e la webserie “Italica noir”, oltre ad avere collaborato con vari festival internazionali e tenuto seminari universitari. Come nipponista ha pubblicato le monografie “Per un introduzione sugli emaki”, “Evoluzione e rappresentazione del gioco del go”, “Lo scintoismo” e “Ukiyo-e: il periodo classico”.
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