Felicità: cosa è per gli economisti?
Gli economisti da tempo si interrogano sui concetti di utilità (soggettiva e oggettiva), felicità, progresso e soddisfazione.
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La scienza economica da tempo è ritornata interrogarsi sulla natura del rapporto fra felicità e sviluppo economico, portando il concetto di felicità al centro delle riflessioni degli economisti.
Un tentativo che, però, ha presentato diverse difficoltà, poiché generalmente il concetto di felicità è stato sostituito da altre categorie come utilità, benessere – usato soprattutto in economia pubblica – o dal concetto di ofelimità sviluppato da Pareto che definisce il vantaggio e il piacere soggettivi derivanti dal possesso o dal godimento di un determinato bene.
Il problema che hanno riscontrato gli economisti nella formalizzazione matematica o nell’incorporare nei loro modelli il concetto di felicità, non proviene solamente, come spesso si pensa, dalla misurazione di grandezze specifiche, ma piuttosto dal ridurre la felicità al consumo di un bene, alla disponibilità di risorse materiali, alla prosperità economica e alla crescita nel tempo della prosperità stessa valutabile attraverso variabili come il Pil e i consumi.
Una possibile soluzione a queste problematiche va ricercata in quel filone di ricerca che a partire dagli anni Settanta ha ragionato sul rapporto fra disponibilità economica e felicità facendo ricorso a strumenti di misurazione di tipo oggettivo come gli indici che riguardano la partecipazione al lavoro, la diseguaglianza, la criminalità, il livello di educazione e di benessere psicofisico e al contempo facendo ricorso a indici soggettivi come quelli che si ricavavano empiricamente da questionari e indagini sul campo.
Questo approccio che ha in Richard Easterlin l’economista più affermato, ha contribuito a rafforzare tutta la letteratura scientifica che ha mostrato i limiti del paradigma basato sulla razionalità del soggetto economico, il quale generalmente non valuta razionalmente l’aumento del reddito in relazione alla variazione di altre grandezze, come ad esempio le ore lavorate.
Easterlin che ha elaborato il celebre paradosso che prende il suo nome, ha provato a valutare la validità dell’ipotesi secondo la quale l’aumento del reddito comporterebbe un aumento della felicità.
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La conclusione a cui arriva l’economista californiano si basa sull’osservazione empirica di tendenze di lungo periodo arrivando a sostenere che nella fase iniziale di sviluppo la felicità cresce in relazione all’andamento del reddito, ma nel tempo l’andamento della crescita della felicità non tende a crescere in relazione al reddito. Il paradosso consiste nella differenza dell’andamento fra le due linee temporali e ha sostanzialmente il pregio analizzare il tema della felicità in relazione al reddito basandosi sull’osservazione empirica di variazioni di serie, arrivando alla conclusione che il nesso fra di loro è sostanzialmente tenue e instabile nello spazio e nel tempo.
Un approccio che affrontando il tema della felicità in una prospettiva diacronica, ha probabilmente il merito di aprire il campo a una serie di ricerche che si basano su approcci comparativi e modellizzazioni di lungo periodo. Fra queste vale la pena citare “Storia economia della felicità” di Emanuele Felice, che ambiziosamente punta a formulare una sintesi di lungo periodo sul senso dello sviluppo economico dell’umanità che funga da base concettuale per trovare delle risposte al problema che pone l’affermazione nella società del capitalismo maturo di un’idea di felicità che appare nelle forme di un diffuso edonismo perseguito da individui ripiegati su se stessi che proiettano la propria idea soggettiva di felicità all’esterno e quindi sulla società.
Un’idea di felicità, che per Felice, implica un allontanamento radicale da una tradizione che innerva la cultura occidentale da Aristotele, passando per Seneca, l’Illuminismo e quindi Amatya Sen e Martha Nussbaum ha interpretato il conseguimento felicità come un problema etico. Ciò che accomuna questa tradizione, per Felice, sono tre elementi: la libertà – dalla necessita e dall’oppressione, le relazioni umani e la possibilità di dare un senso alla propria vita. La periodizzazione proposta è tripartita in tre epoche, quella dei raccoglitori cacciatori (il biblico giardino dell’Eden), quella che nasce dalla rivoluzione agricola del neolitico (la valle di lacrime) e accompagna la nascita delle prime civiltà urbane e infine il mondo contemporaneo che nasce dalla Rivoluzione industriale.
La rivoluzione agricola causa una rottura con l’età precedente segnando la fine della libertà dal bisogno tipica delle società dei cacciatori raccoglitori e porta a una “società dell’oppressione” fortemente gerarchizzata che istituzionalizza le differenze, una società di diseguaglianza e infelicità. Interessante notare che questo tipo di interpretazione vede l’ingresso dell’umanità nel mondo storico come un’esperienza di declino che si basa su una critica alle filosofie della storia e al concetto di progresso. Un problema inerente questa ricerca sul tema felicità nasce da questa critica a una visione lineare della storia; benché la crisi del paradigma positivista e dello storicismo abbia causato l’irreversibile abbandono di una visione della storia che implica la necessità della dinamica storica, lo sforzo di dare un senso ai processi storici – e quindi alla propria vita – è stato parte integrante della lotta politica e quindi della ricerca della felicità, come testimoniano tutte le utopie e le ideologie che si sono succedute nel corso della modernità La felicità, in definitiva, rischia di essere una vittima di visioni lineari della storia e del percorso tortuoso del progresso.
Photo by Jacqueline Munguía on Unsplash
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già Docente a contratto in Storia Economica presso diversi Atenei (Università degli Studi della Campania, Luiss Guido Carli, Suor Orsola Beninicasa e Università Telematica Pegaso). Attualmente collabora con il Distretto Aerospaziale Campano ed è editorialista del Sussidiario.net