Coach: in Italia solo gli psicologi possono esserlo
La legge italiana ha riconosciuto che “counselor” e “coach” non psicologi svolgono abusivamente una professione. E per quanto riguarda i “life coaching”: da motivatore a manipolatore il passo è breve.
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Alcuni grossolanamente sostengono che i coach e i counselor sono una sorta di psicologi delle persone sane. Non è così. Però naturalmente i coach e i counselor si dovrebbero occupare esclusivamente del benessere psicologico, mentre psicologi, psicoterapeuti, psichiatri della psicopatologia.
È indubbio che ci siano persone che non riconoscono e non hanno consapevolezza dei loro problemi psicologici o psichiatrici e si rivolgono a un coach, che se è scrupoloso dovrebbe indirizzarli da uno psicologo clinico, uno psicoterapeuta, uno psichiatra o quantomeno parlare chiaro col cliente e obbligarlo almeno a farsi affiancare da un esperto della psiche.
Ma oggi il problema è minore, perché la professione di coach è stata regolamentata e solo gli psicologi possono farla. Un tempo chiunque poteva fare il coach. Recentemente la legge italiana ha riconosciuto che chiunque faccia il counselor o il coach, non essendo psicologo, svolge abusivamente la libera professione.
Insomma il coaching e il counseling svolto da non professionisti non può sovrapporsi alla professione di psicologo. Per alcuni individui dire di andare da un coach è quasi di moda, mentre si vergognano di dire di andare da uno psicologo clinico o da uno psichiatra. È vero che talvolta non c’è una linea di demarcazione definita e univoca tra sanità mentale e la cosiddetta psicopatologia, perché anche i più normali hanno istanti di obnubilamento e i più disturbati periodi di lucidità e di grande discernimento.
Un coach non dovrebbe occuparsi di fratture interiori e di traumi psicologici, ma al massimo di rimuovere blocchi emotivi e barriere psicologiche, ad esempio per evitare l’autosabotaggio di un lavoratore, il masochismo morale di una casalinga, la paura di perdere in un atleta. Dovrebbe fermarsi qui perché il resto è affare degli psicologi clinici, degli psicoterapeuti, degli psichiatri. Forse la cosa migliore sarebbe una proficua collaborazione e un patto di non belligeranza tra questi professionisti della psiche e i coach. Potrebbe accadere anche che uno psicologo clinico possa mandare un paziente da un coach.
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Per quanto riguarda il life coaching tutti sono allo stesso tempo docenti e discenti nella materia della vita. Ancora più difficile è trasmettere esperienza e conoscenze per quanto riguarda la materia della vita. Di solito in Occidente sono gli specialisti della mente e i religiosi che svolgono questi compiti, mentre in altre parti del mondo sono i mistici, i guaritori, gli sciamani e i guru ad avere questa funzione. Il coach per come viene inteso oggi è molto cose assieme: non è solo un allenatore ma anche un facilitatore, un motivatore, un influenzatore. Ma esiste una sottile linea tra influenzare e manipolare. I coach dovrebbero migliorare l’autostima, incoraggiare le persone, supportarle.
Alcuni coach talvolta promettono il successo, la piena realizzazione. Alcuni si riempiono troppo la bocca di come sviluppare il potenziale inespresso e di come raggiungere la crescita personale. È chiaro che essendo vaghe alcune cose del mental coaching e del life coaching (in quanto per alcune questioni della mente e della vita c’è arbitrio e siamo nell’ambito dell’opinabile) alcuni coach possono sempre salvarsi in corner e dire che i clienti non hanno raggiunto gli obiettivi prefissati perché non sono stati sufficientemente collaborativi o che necessitano di un ulteriore lavoro su sé stessi.
L’efficacia di un coach si vede dai risultati concreti purtroppo. Molti clienti però partono da dei presupposti sbagliati, da delle premesse totalmente errate. La stragrande maggioranza vuole successo, soldi, amore. A mio avviso un buon coach non dico che dovrebbe spiegare l’infinita vanità del tutto, ma dovrebbe aiutare a riformulare certi problemi, a far cambiare atteggiamento mentale nei confronti di certe cose. Un buon coach dovrebbe indicare i falsi idoli e i falsi miti della società odierna, compiere un’azione di svelamento della realtà circostante, proporre senza obbligare nessuno altre interpretazioni e di conseguenza altre visioni del mondo possibili e plausibili. Alcune persone non dico che dovrebbero essere riprogrammate ma quantomeno “decondizionate” (bisognerebbe eliminare nella loro testa diversi condizionamenti neuroassociativi). Insomma ci sono diversi modi di ridurre o eliminare la dissonanza cognitiva o emotiva delle persone. Anche cercare di far loro raggiungere un superiore livello di coscienza sarebbe già qualcosa di fondamentale.
Soprattutto un buon coach dovrebbe anche insegnare che raggiungere un elevato livello di consapevolezza esistenziale e del mondo non significa necessariamente diventare ricchi, avere successo ed essere pieni di donne.
Consapevolezza talvolta significa anche accettazione del proprio io e rinuncia di falsi Sé. Se un cliente vuole a tutti i costi arricchirsi, un buon coach dovrebbe ricordargli che si può vivere bene anche senza agiatezza economica e fargli vedere i pro e i contro di una vita basata esclusivamente sul denaro come priorità assoluta. Prima di aiutare a raggiungere degli obiettivi un buon coach dovrebbe chiedere al cliente se ne vale davvero la pena e aiutarlo a cercare dentro di sé, se è veramente quello che vuole. Il coach dovrebbe facilitare a migliorare il problem solving del cliente, ma questo alla fine significa aiutarlo a fare una analisi completa della realtà, fargli vagliare ogni possibile soluzione, fargli ristrutturare cognitivamente ed emotivamente il problema in modo da vederlo sotto nuove prospettive e angolazioni. Un buon coach dovrebbe invogliare il cliente a prendere la pillola rossa, a guardare in faccia la realtà, come nel film Matrix (senza alcun riferimento alla cosiddetta filosofia Incel). Tutte queste cose sono impegnative e niente affatto facili. Questo è allo stato attuale il coaching in Italia tra luci e ombre.
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Nato a Pontedera nel 1972. Si è laureato in psicologia con una tesi sul mobbing. Nel 2000 ha partecipato al comitato antimobbing della CGIL toscana. È socio onorario a vita della A.S.A.M University dal 2004 per la sua competenza sul mobbing. Collabora ad Agoravox (quotidiano online), a Sololibri.net, ad Alessandria Today, a Alessandria online, a Word Shelter, al Mago di Oz e saltuariamente anche ad altri siti. Ha un blog sul sito letterario Letteratour e uno su WordPress. È articolista su Il post scriptum (testata giornalistica online). Ha collaborato al Corriere di Puglia e Lucania e a Il Corriere Nazionale (testate giornalistiche online). Ha collaborato al magazine ‘900 letterario. Ha scritto recensioni per Atelier poesia. In passato ha scritto poesie pubblicate su riviste letterarie, literary blog, antologie non scolastiche. Scrive saggi brevi, articoli, recensioni, aforismi, riflessioni. Si occupa di psicologia, di attualità, di poesia contemporanea, di umanesimo contemporaneo, di scrittura.
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